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  • 10 consigli per chi ha la pressione alta. Stampa E-mail
    Scritto da Enzo   
    giovedì 10 giugno 2010

     

    WWW.ROBEDAMATTI.NET                       Cesena, 10 giugno 2010

     

    10 consigli per gli ipertesi e altre notizie importanti.

     

    1.         onoscere la propria pressione e controllarla regolarmente

    2.         sapere quale deve essere il proprio peso ideale e conservarlo a quel livello

    3.         non eccedere con il sale ed evitare cibi salati

    4.         seguire una dieta povera di grassi

    5.     non fumare

    6.    assumere farmaci seguendo esattamente le prescrizioni del medico

    7.    seguire i consigli del medico per svolgere qualsiasi attività fisica

    8.    cercare di condurre una vita normale

    9.    spingere parenti e figli a controlli regolari della pressione

    10.  non disdire mai l'appuntamento con il medico

     

    IPERTENSIONE: 

     

     

    Quali sono le cause? - Quali consigli agli ipertesi? - Cos'è? - Cos'è la massima? - Cos'è la minima? - Quale delle due è più pericolosa? - Quanto è diffusa? - Quali sono i sintomi? - Quali sono le conseguenze? - Quali sono i farmaci in grado di controllarla?

    Quali sono le cause?


    Nella maggior parte dei casi la causa è sconosciuta (ipertensione essenziale o primaria). A volte può dipendere da altre patologie, per esempio un'insufficienza renale o alcuni tipi di tumori che producono quantità eccessive di ormoni che alzano la pressione (ipertensione secondaria).

    Quali sono i fattori predisponenti?

     
    • obesità: Piuttosto che di obesità è meglio parlare di eccesso ponderale.
      L'eccesso ponderale si accompagna con grande frequenza ad aumento della pressione, della
      glicemia, dei grassi nel sangue, ed a riduzione dell'attività fisica; inoltre, è un grosso fardello che affatica inutilmente il cuore.
      Secondo dati recenti nel mondo occidentale circa il 30% della popolazione avrebbe un eccesso ponderale di varia entità. Va precisato, a questo proposito, che si parla di obesità quando il peso corporeo superi del 15% il peso ideale.
      La determinazione del peso ideale si ottiene con varie formule. Un criterio abbastanza diffuso definisce come peso ideale il numero di chili pari ai centimetri oltre il metro di statura (quindi, per un uomo alto 1,80 m. il peso ideale sarebbe 80 chili), ma questo criterio è forse più adatto al ventenne che svolga attività fisica; per un sessantenne sedentario appare eccessivamente generoso, e sarebbe consigliabile una riduzione di almeno il 10%.
      E' stato anche sicuramente dimostrato che l'aumento del peso del 20% rispetto a quello ideale nei soggetti di media età raddoppia l'
      incidenza di malattie delle coronarie, e la triplica se l'obesità si accompagna a ipercolesterolemia o ipertensione.
      Gli obesi malati di cuore vivono in media 4 anni di meno del cardiopatico di peso regolare. L'essere fortemente sovrappeso anticipa poi di 7 anni l'inizio della malattia in chi è predisposto. Negli Stati Uniti è stato anche calcolato che se si riuscisse a debellare il
      cancro la vita si allungherebbe di meno di due anni, mentre se si eliminasse l'obesità si allungherebbe di 5 anni.


    • diabete;
    • stress: L'importanza dello stress è generalmente sopravvalutata dai pazienti. In gran parte ciò è dovuto al fatto che è un termine che ha trovato grande successo e diffusione, essendo chiamato in causa per situazioni molto diverse.
      Essendo utopistico e irrealizzabile l'intento di modificare positivamente l'ambiente in maniera sostanziale, è chiaro che i nostri sforzi sono diretti alla individuazione ed alla eventuale modificazione di quei tratti della personalità che, sottoposti all'influenza ambientale, possano costituire un
      fattore di rischio per gli eventi coronarici.
      Numerosi ed approfonditi studi hanno individuato uno specifico atteggiamento comportamentale, definito come personalità di tipo A, che costituisce un sicuro fattore di rischio coronarico.
      Gli elementi costitutivi del comportamento di tipo A sono rappresentati da una costellazione di atteggiamenti caratteriali che contribuiscono nel loro insieme a determinare uno specifico tipo di personalità.
      In sintesi, i tratti distintivi del comportamento di tipo A sono la fretta, l'impazienza, l'eccessiva competitività ed un certo grado di ostilità verso l'ambiente sociale, lavorativo e familiare. Nell'ambito di una strategia riabilitativa globale, in cui gli atteggiamenti psicologici hanno un ruolo fondamentale, la ripresa graduale delle proprie attività, con un'ottica diversa e con una mentalità diversa, favorisce il totale reinserimento sociale, la chiusura di un periodo della vita difficile ed oscuro, culminato con un grave "incidente", e l'inizio della ricostruzione psico-fisica del paziente, su nuove basi.
      Sul piano pratico è consigliabile adottare una serie di atteggiamenti di difesa, che potrebbero essere riassunti nei seguenti consigli: eliminare l'eccesso di lavoro; affrontare e risolvere un problema alla volta; crearsi se è possibile un hobby.


    • sedentarietà: Il tema della sedentarietà, intesa come ridotta attività fisica, è strettamente connesso con quello dell'eccesso ponderale. Una riduzione del dispendio calorico, se si mantengono costanti le entrate, si traduce in un accumulo di grasso ed aumento di peso.".
      Accurate indagini statistiche effettuate in un numero rilevante di pazienti hanno consentito di verificare che l'attività fisica si traduce in una diminuzione significativa del rischio
      cardiovascolare, sia nella prevenzione primaria, cioè nell'evitare un primo infarto, sia, e soprattutto, nella prevenzione secondaria, cioè nell'evitare un secondo infarto in chi ne abbia già subito uno.
      I meccanismi attraverso i quali l'attività fisica induce effetti benefici sono ben noti, e sono sia diretti che indiretti.
      Direttamente, l'allenamento fisico, cioè un'attività fisica regolare e costante, produce effetti benefici mediante la riduzione della frequenza cardiaca e della
      pressione arteriosa sotto sforzo, con conseguente risparmio del consumo di ossigeno del muscolo cardiaco, una migliore utilizzazione dell'ossigeno da parte dei muscoli scheletrici, un miglioramento della capacità lavorativa globale, uno spostamento del controllo nervoso del cuore a vantaggio del vago, sistema frenatore e di risparmio, a discapito del simpatico, sistema acceleratore e dispendioso, un innalzamento della soglia a cui compaiono ischemia ed angina durante lo sforzo, ed aritmie minacciose.
      Indirettamente, l'attività fisica ha effetti benefici attraverso un aumento del
      colesterolo protettivo HDL, una riduzione dell'aggregabilità delle piastrine, una riduzione della pressione arteriosa, degli ormoni circolanti che stimolano il cuore, della glicemia nel diabete e dei trigliceridi, dell'obesità, dell'abitudine al fumo.
      Non c'è dubbio, quindi, che l'attività fisica vada incoraggiata ed incrementata e che al contrario la vita sedentaria vada evitata invertendo, così, la radicata tendenza che imponeva periodi di lunga e pressoché completa, e talora definitiva inattività agli infartuati.


    • alimentazione ricca di grassi animali
    • consumo cronico di alcol
    • abitudine al fumo di sigaretta
    • precedenti familiari di infarti: le malattie cardiovascolari tendono ad aggregarsi in particolari nuclei familiari, per cui si finisce con l'ereditare la predisposizione ad ammalare, ed i discendenti di coronaropatici vanno guardati con particolare attenzione;


    • età: L'aterosclerosi coronarica, come quella degli altri distretti vascolari, è una malattia di tipo degenerativo, dovuta essenzialmente alla inevitabile senescenza dei vasi; per cui si dice comunemente, non a torto, che abbiamo l'età dei nostri vasi; ed a dispetto di ogni disperata ricerca di ringiovanimento esteriore ed estetico, nessuno può venderci la pillola della giovinezza;

      ALTRI CONSIGLI IMPORTANTI.
    Il 1999 è stato l'anno in cui l'Organizzazione Mondiale della Sanità, d'intesa con l'International Society of Hypertension, ha reso note le nuove linee-guida per il trattamento dell'ipertensione. Le linee consigliano di iniziare la terapia antipertensiva attraverso modificazioni dello stile di vita (riduzione del peso corporeo, riduzione dell'eccesso di sale nella dieta, maggior consumo di cibi di natura vegetale, abolizione del fumo, correzione delle abitudini alcoliche, incremento dell'attività fisica), prima di passare ad un trattamento farmacologico. Le linee-guida apportano anche un "ritocco" verso il basso dei valori pressori massimi consentiti nella norma: 130/85 e non più 140/90 mmHg. Ciò significa allontanarsi quanto è più possibile dai rischi di complicanze. Si pensi solo che, passando da una "minima" di 90 a una di 105, aumenta di 2,5 volte il rischio di eventi coronarici e di 4 volte quello di eventi cerebrovascolari. Ai reduci da un infarto recente va sottolineato che generalmente i livelli di pressione, anche se erano elevati o molto elevati prima dell'infarto, tendono a normalizzarsi durante la degenza e per un periodo più o meno lungo anche dopo la dimissione. Ciò è dovuto ad una serie di fattori, che vanno dalla stessa lesione del muscolo cardiaco alla immobilità assoluta o riduzione dell'attività fisica, alle terapie effettuate. E' inevitabile che la pressione, se era alta prima, presto o tardi dopo l'evento infartuale tornerà a crescere. E' molto importante, quindi, che dopo l'infarto la pressione sia tenuta costantemente sotto controllo, poiché l'ipertensione è un importante fattore favorente un ulteriore evento coronarico.

    Cos'è?

    E' una condizione caratterizzata da un innalzamento stabile dei valori della pressione del sangue. Nell'adulto si considera ottimale una pressione di 80-120 mmHg. Si parla di ipertensione quando i valori sono uguali o maggiori di 90-140 mmHg.
    Dai dati raccolti negli ultimi anni pare che siano oltre un miliardo nel mondo le persone ipertese e che, di esse, solo un quarto abbia una pressione arteriosa ben controllata. In certi paesi, addirittura, gli ipertesi assistiti terapeuticamente stanno diminuendo: in Inghilterra solo il 6% è trattato correttamente. Questa situazione è in parte legata alla natura asintomatica della malattia che per questo si può definire un perfetto "silent-killer".
    L'iperteso non si sente ammalato. E' solo cosciente di un rischio, motivazione spesso non sufficiente per indurlo a sottoporsi ad una terapia per tutta la vita e fare una dieta adeguata.

    Cos'è la massima?

    La pressione sistolica (massima) è la forza che il sangue esercita sui vasi quando il cuore si contrae e pompa.

    Cos'è la minima?

    La pressione diastolica (minima) è registrata quando il cuore si rilascia per riempirsi nuovamente di sangue.

    Quale delle due è più pericolosa?

    Sorprese dalla ricerca clinica: è la "massima" da tenere principalmente sotto controllo. Rispetto alle convinzioni del passato, che indicavano nei parametri della pressione diastolica (la "minima") il principale fattore di rischio, è emerso con forza che l'attenzione che bisogna prestare alla "massima" viene dall'importanza che si annette, tra i fattori di rischio, alla pressione differenziale (i millimetri di mercurio che intercorrono tra la sistolica e la diastolica). Infatti, man mano che aumenta l'età - spiegano gli ipertensiologi, come intendono oggi definirsi quei medici che, oltre a far ricerca, abbiano anche grande esperienza clinica nel campo dell'ipertensione - la pressione sistolica continua a salire, mentre al contrario quella diastolica a ridursi.

    Quanto è diffusa?

    Secondo le statistiche, in Italia soffrono di ipertensione dieci milioni persone, ma secondo gli esperti ne esistono altre cinquemila che, senza saperlo, sono colpite dalla malattia.

    Quali sono i sintomi?

    Di solito l'ipertensione non dà sintomi, e viene scoperta in occasione di un controllo. A volte può dare: lieve dolore alla nuca, soprattutto al mattino, affaticamento, sangue dal naso (epistassi), disturbi della vista, palpitazioni, vertigini, stimolo frequente a urinare. Top

    Quali sono le conseguenze?

    La responsabilità dell'ipertensione arteriosa nell'incidenza d'eventi cardiovascolari è nota da molti anni, a seguito di approfondimenti epidemiologici su popolazioni. Si calcola, infatti, che il rischio di essere colpiti da una malattia coronarica sarebbe doppio negli ipertesi rispetto ai normotesi, e che il rischio di accidenti vascolari cerebrali sarebbe addirittura otto volte maggiore. L'ipertensione induce insufficienza cardiaca più spesso nelle donne, negli obesi e nelle popolazioni di colore. Alla conclusione sono giunti ricercatori dell'università dell'Illinois, Chicago, dopo aver esaminato le cartelle di 680 pazienti con insufficienza cardiaca. Nei soggetti monitorati, il 25% delle insufficienze cardiache avevano avuto come prima causa l'ipertensione. Tra le donne, però, questa causalità ricorreva nel 34% dei casi (contro il 21% degli uomini); il divario era ancora più netto tra afro - americani e bianchi (40% contro 7%) e tra obesi e non (45% contro 18%). Ad ogni modo, sicuramente l'alta pressione arteriosa è responsabile, da sola o in concorso con altri fattori, di un diffuso danno delle pareti dei vasi e del cuore stesso (l'ipertrofia del ventricolo sinistro) e di un'accelerazione del processo aterosclerotico. Attraverso questi meccanismi, essa è in grado di determinare o favorire le malattie coronariche, come l'angina e l'infarto, l'ictus cerebrale, lo scompenso cardiaco, le aritmie, l'insufficienza renale, la patologia ostruttiva dei vasi degli arti inferiori, la patologia vascolare dell'occhio. Dagli studi di popolazioni appare verificata anche la relazione inversa: più è bassa la pressione, più aumenta la durata della vita e migliora la sua qualità.

    Quali sono i farmaci in grado di controllarla?

    L'impiego dei farmaci, i cui effetti collaterali possono rappresentare un ostacolo per un'assunzione a lungo termine, e la realtà sanitaria di molti paesi, che non favorisce l'instaurarsi di un prolungato rapporto medico-paziente, sono fattori che costituiscono una condizione fondamentale per mantenere una buona adesione del paziente stesso alla terapia.

    I diuretici: abbassano la pressione diminuendo la quantità di liquidi in circolo. Sono però sconsigliati a chi soffre di diabete e gotta, perché tendono a far aumentare la glicemia e l'
    uricemia, e a chi soffre di incontinenza urinaria, perché aumentano la quantità di urina che viene prodotta.

    Betabloccanti: agiscono direttamente sulle terminazioni nervose, diminuendo la forza con cui il cuore si contrae e dilatando le pareti delle
    arterie. Sono controindicati se si soffre di asma, perché favoriscono un restringimento dei bronchi.

    Calcioantagonisti: diminuiscono la pressione sia riducendo la forza con cui il cuore si contrae sia dilatando le arterie. Sono indicati in chi soffre di angina.

    ACE inibitori: bloccano la produzione da parte del
    rene di una sostanza che fa alzare la pressione. Sono indicati nei diabetici. Possono provocare una tosse stizzosa.

    Sta al medico scegliere per ciascuno la cura più appropriata, o eventualmente un'associazione.
                                                                                                                                                       
     

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