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  • Difendiamoci dalle allergie. Stampa E-mail
    Scritto da Enzo   
    venerd́ 24 aprile 2009
                                                                                                                              
    WWW.ROBEDAMATTI.NET                     Cesena, 11.10.2008

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    TUTTE LE INFORMAZIONI RIPORTATE SONO QUANTO DI MEGLIO POSSIAMO TROVARE IN CAMPO MEDICO, MA RESTA CHIARO CHE I CONSIGLI FORNITI NON POSSONO E NON DEVONO SOSTITUIRE MEDICI E SPECIALISTI. WWW.ROBEDAMATTI.NET SCONSIGLIA IL "FAI DA TE" E DECLINA QUALSIASI RESPONSABILITA' DIRETTA E/O INDIRETTA.

    (Le notizie provengono da Pagine Mediche e sono aggiornate settimanalmente).

    __________________________________         

    Test allergologici

    Il primo passo verso la diagnosi di allergia è il colloquio con il paziente; il passo successivo consiste nella conferma della condizione allergica e nella ricerca dell'allergene che scatena la crisi. I due tipi di esami che solitamente vengono condotti sono i test cutanei e gli esami del sangue.

    Redazione paginemediche.it (mar, 06 feb 2007)

    Valutazione allergologica

    La visita allergologica consiste in una valutazione attenta del quadro clinico per arrivare alla definizione di specifici provvedimenti terapeutici e preventivi propri del singolo caso. Indirizzano nella scelta del corretto percorso diagnostico terapeutico una anamnesi attenta e la tipologia dei sintomi riferiti dalla persona.

    DIMAC (mar, 06 feb 2007)
    Prick test

    I prick test servono per svelare eventuali allergie (ad alimenti o a inalanti) e in particolare per dimostrare la presenza di IgE specifiche per l'allergene testato.

    _________________

    Allergia ai crostacei.


    ____________________ 
    L'allergia ai pesci e ai crostacei è una reazione immunitaria avversa ad alcune proteine contenute in questi alimenti; può provocare delle reazioni molto forti da parte del sistema immunitario.

    CAUSE

    Originariamente si pensava l’allergia ai pesci e ai crostacei fosse estesa a qualsiasi tipo di pesce. La ricerca ha dimostrato che un soggetto può sviluppare reazioni allergiche verso soltanto una o più specie di pesce.
    Le specie di pesce che provocano reazioni allergiche sono quelli più comuni: merluzzo, salmone, trota, aringa, sardina, spigola, pesce spada, halibut e tonno. Tra i crostacei e i molluschi, invece, i più allergogeni sono: gambero, granchio, aragosta, ostrica, vongola, capasanta, cozza, calamaro, lumaca di mare.
    Il processo di produzione del tonno e del salmone in scatola cambia le caratteristiche delle proteine, tanto da renderle tollerabili anche da alcuni individui affetti da allergia.

    COME SI PRESENTA

    I sintomi tipici di questa patologia cambiano da un individuo all’altro, ma i più comuni sono:

    ·         dermatologici (orticaria, prurito);

    ·         gastrointestinali (nausea, crampi, diarrea);

    ·         respiratori (difficoltà respiratorie, giramenti di testa).

    Nei casi più acuti, l’allergia al pesce e ai crostacei può innescare anche attacchi d’asma e shock anafilattico.


    COSA FARE

    La soluzione migliore per il trattamento delle allergie alimentari è la completa eliminazione dell’alimento allergizzante dalla dieta.
    È importante leggere attentamente le etichette dei cibi, prima di acquistarli, perché i procedimenti di preparazione dei cibi possono nascondere l’uso di tracce di pesce e di crostacei.
    È consigliabile evitare di ingerire cibi fritti al ristorante, dove spesso l’olio, utilizzato per la cottura del pesce, è riutilizzato per la cottura di altri cibi.

    Allergia alle proteine del latte vaccino

    Che cos'è  -  Cause  -  Come si presenta  -  Evoluzione  -  Cosa fare

    Che cos'è

    L'allergia alle proteine del latte vaccino è una reazione immunitaria avversa ad una o a più proteine del latte vaccino.
    Si tratta della più comune allergia alimentare e colpisce tra il 2% e il 3% dei bambini, generalmente prima del terzo anno d'età, con un picco tra i primi 3-5 mesi.

    Cause

    Il latte vaccino rappresenta la maggiore fonte di proteine per i neonati allattati artificialmente. E’ stata dimostrata, però, una stretta relazione tra l'esposizione al latte vaccino, durante i primi mesi di vita del bambino, e lo sviluppo di reazioni allergiche ad esso.
    Tuttavia, anche nei neonati allattati al seno è stata riscontrata un'incidenza di allergia (pari a circa lo 0,5% dei casi) dovuta alla presenza di proteine del latte vaccino nel latte materno.

    Come si presenta

    L'allergia alle proteine del latte vaccino presenta un ampio spettro di sintomi:
    - gastrointestinali (vomito, diarrea)
    - dermatologici (eczema, orticaria, irritazioni cutanee)
    - respiratori (rinocongiuntivite, asma,
    edema)

    Nei bambini allattati con latte materno, e allergici al latte vaccino, il sintomo predominante è l'insorgere di dermatiti.
    Oltre ai sintomi più comuni, in alcuni casi di sindromi acute, sono stati riscontrati anche l'insorgere di
    coliche, reflusso gastroesofageo, affezioni all'esofago, coliti e costipazione.


    I bambini affetti da allergia alle proteine del latte vaccino sono stati suddivisi in gruppi, a seconda del tipo di sintomi riscontrati e dei tempi di insorgenza.

    Gruppo 1.
    I bambini appartenenti a questo gruppo presentano reazioni allergiche ad un quantitativo relativamente piccolo di latte vaccino (10-20 ml), e sviluppano sintomi quali orticaria, agitazione e, occasionalmente, tosse e asma a pochi minuti dall'ingestione del latte.
    Gruppo 2.
    Un quantitativo maggiore di latte vaccino (180-200 ml) è necessario per provocare reazioni allergiche nei bambini del secondo gruppo. I sintomi prevalenti sono: violenti conati di vomito e diarrea, e compaiono dopo diverse ore dall'ingestione del latte.
    Gruppo 3.
    I bambini del terzo gruppo, inizialmente sembrano tollerare un normale quantitativo di latte vaccino. I sintomi compaiono lentamente, e sono soprattutto eczema, diarrea e bronchite, che insorgono insidiosamente, a volte addirittura dopo diversi giorni dall'ingestione del latte.

    EVOLUZIONE

    Dopo i 3 anni, l'85% degli affetti da allergia da latte vaccino supera la malattia. Recenti studi mostrano che l'allergia al latte vaccino può persistere o manifestarsi anche in età scolare.

    Cosa fare

    Attualmente, l'unico trattamento per questo tipo di patologia è la totale esclusione del latte vaccino dalla dieta del bambino.

    Diagnosticata l'allergia, il medico prescriverà un latte artificiale in grado di consentire una crescita e uno sviluppo ottimali. 
    Le formule a base di aminoacidi (AAF – Amino Acid-Based Formulas) e quelle parzialmente idrolizzate (eHF - Extensively Hydrolyzed Formulas) sono le uniche considerate ipoallergeniche e adatte al trattamento di questo tipo di allergia.

    Inizialmente, se il neonato è allattato al seno materno, una rigida eliminazione delle proteine che causano il problema dalla dieta della madre può essere una soluzione. Se i sintomi persistono, diventa necessaria la somministrazione di latte artificiale, come il latte di soia o le formule AAF ed eHF.

    In alcuni paesi, l'allergia alle proteine del latte vaccino è trattata con la somministrazione di latte proveniente da altri animali, come capra, pecora e cavallo. Ma, a differenza del latte vaccino, queste tipologie di latte non sono equilibrate e complete dal punto di vista nutrizionale, essendo povere di alcune vitamine (B6, B12, C e

     Allergia alle arachidi

    Che cos'è
    Le arachidi sono tra i più comuni e diffusi allergeni alimentari. Fanno parte della famiglia dei legumi, come i piselli, i fagioli, le lenticchie e la soia, per nominarne solo alcuni. Questo non implica che chi è affetto da allergia alle arachidi, lo sia necessariamente anche agli altri legumi.
    Lo sviluppo di questa allergia dipende da due fattori: l'esposizione e le modalità di consumo. L'allergia alle arachidi è stata generalmente considerata cronica.

    Come si presenta

    Dal punto di vista della sintomatologia, l'allergia alle arachidi si presenta come una delle più gravi, sia per la persistenza dei sintomi sia per l'alto rischio di insorgenza di shock anafilattico.
    I sintomi associati sono: problemi alla digestione, vomito, diarrea, febbre e difficoltà respiratorie.

    Cosa fare

    La prevenzione è la soluzione migliore da adottare nei confronti dei sintomi di questa malattia, pertanto è necessario eliminare completamente il cibo allergizzante dal regime alimentare, evitando anche tutti gli altri tipi di frutta a guscio, come mandorle, noci brasiliane, anacardi, noci, nocciole, noci di Macadamia, noce del Messico, pinoli, pistacchi, noci americane.

    Alimenti che contengono arachidi

    Biscotti, gelati e cioccolato, contengono o possono contenere tracce di arachidi. Oltre a questi, sono tanti i prodotti alimentari potenzialmente pericolosi. Pertanto è fondamentale leggere attentamente le etichette dei prodotti, anche di quelli più insospettabili, stando attenti alle diciture tipo: "proteine vegetali", "burro di arachidi", "olio di arachidi". Tracce di arachidi possono essere presenti anche in alcuni prodotti cosmetici e farmaceutici, come dopobarba o creme per la cura dell'eczema.

    Ecco alcuni alimenti che contengono tracce di arachidi.

    Arachidi e piatti a base di arachidi
    : tutti i tipi di arachidi, burro di arachidi.

    Cereali e prodotti a base di grano: alcuni cereali per la colazione, barrette ai cereali e al muesli, barrette dietetiche.

    Bibite: bevande alcoliche a base di zabaione, liquori al malto, alcune bevande al latte.

    Cibi confezionati e dolci: alcuni dolci, cioccolato, cioccolata spalmabile, gelati, torrone, praline, marzapane.

    Prodotti da forno: biscotti, torte, crostate, pasticcini, torte al formaggio.

    Cibi vari: piatti orientali (cinesi, thailandesi, vietnamiti), salumi, prodotti per vegetariani, pesto.

    I più comuni ingredienti che contengono, o possono contenere arachidi: burro di arachidi, arachidi tritate, olio di arachidi, arachidi fresche, polvere di arachidi, proteine vegetali idrogenate, farina di arachidi.
    ___________________________________
    ALLERGIA ALLE PROTEINE DELL'UOVO

      

    L'allergia all'uovo è una reazione immunitaria avversa alle proteine delle uova ed è considerata una delle più comuni allergie alimentari nei neonati e nei bambini.

    Cause

    Le uova contengono varie tipologie di proteine, molte delle quali fortemente allergogene, come ovomucoide, ovoalbumina, ovotransferrina e lisozima.

    Problemi associati

    La maggior parte degli individui affetti da allergia all'uovo sviluppa reazioni allergiche all'albume (costituito al 50% da albumina, la proteina maggiormente allergogena). Tuttavia esiste anche una percentuale di persone allergiche al tuorlo, che contiene delle proteine diverse.

    Come si presenta

    I sintomi associati a questo tipo di patologia sono: rinite allergica, asma, dermatite, diarrea, problemi gastrointestinali, orticaria, nausea, vomito, problemi respiratori e anafilassi.
    L'allergia all'uovo, inoltre, è tra le maggiori cause della comparsa, in età neonatale, di dermatiti atopiche ed eczema.

    Cosa fare

    Diagnosticata l'allergia, è necessario evitare di inserire nella dieta alimenti contenenti uova. Purtroppo gli alimenti che contengono tracce di uova sono tanti, per cui è necessario porre molta attenzione alle informazioni presenti sulle etichette dei cibi acquistati.
    È necessario fare attenzione anche ad altri prodotti, non alimentari, che contengono tracce di proteine delle uova, come shampoo, cosmetici e farmaci.

    Ecco un elenco di termini che, se presenti nella composizione dei prodotti acquistati, segnalano la presenza di tracce di proteine delle uova: albume, tuorlo, uova polverizzate, uova intere, albumina, globulina, lisozima, ovoalbumina, ovomucina, ovomucoide, ovotransferrina, silicio albuminato, ovovitellina, ovolivetina, vitellina.
    Allergia alla soia

    Cos'è  -  Cause  -  Sintomi  -  Problemi associati  -  Che fare  -  Alcuni alimenti che contengono soia

    Che cos'è

    L'allergia alla soia è una reazione immunitaria avversa alla soia. Sono state identificate almeno 16 proteine della soia potenzialmente allergogene, ma le loro implicazioni cliniche sono ancora sconosciute. Circa lo 0,5% della popolazione è affetto da allergia alla soia, diffusa soprattutto tra i bambini, nei quali si manifesta intorno al terzo mese d'età. Molti neonati però ne manifestano i sintomi già a 2 mesi. Negli adulti la presenza di questa patologia è abbastanza rara.

    Cause

    Sia l'American Academy of Pediatrics che l'UK’s Chief Medical Officer raccomandano di evitare l'uso di prodotti a base di soia nel regime alimentare dei bambini, a causa della presenza di fitoestrogeni e alla mancanza di agenti ipoallergenici.

    Sintomi

    L'allergia alla soia presenta sintomi di diverso tipo:
    - dermatologici (acne, dermatite atopica, eczema, prurito, orticaria, angioedema)
    - respiratori (rinite, asma, broncospasmi, dispnea)
    - gastrointestinali (colite, vomito, diarrea, enterocolite)
    Altri sintomi riscontrabili nei soggetti affetti da allergia alla soia sono: febbre, anafilassi, ipotensione, laringite edematosa e sonnolenza.

    Problemi associati

    Spesso i soggetti affetti da allergia alla soia sono intolleranti anche verso altri cibi, soprattutto altri legumi, come i piselli, le lenticchie e i fagioli. L'allergia alla soia, nei bambini, è inoltre associata spesso all'allergia alle proteine del latte vaccino. Oltre il 50% dei bambini affetti da allergia alle proteine del latte vaccino, Infatti, è allergico anche alla soia.

    Cosa fare

    Diagnosticata l'allergia, è necessario eliminare completamente la soia dalla dieta per diversi giorni.
    In seguito è possibile reintrodurre gradatamente nel regime alimentare prodotti a base di soia, monitorando l'eventuale ricomparsa dei sintomi. Reazioni di intolleranza alla soia possono sopraggiungere anche trascorse 48 ore dal momento dell'ingestione.

    Alcuni alimenti che contengono soia

    Soia e prodotti a base di soia: latte di soia, burro di soia, bibite a base di soia, salsa di soia, semi di soia, yoghurt di soia, formaggio di soia, olio di soia, tofu.
    Cereali e prodotti a base di cereali: cereali per la colazione, tutti i più comuni tipi di pane (di grano duro, di riso, di segale e di granturco).
    Carne, pesce e pollame: salsicce e carni trattate.
    Dolci confezionati: pasticcini, dolci di frutta, dei gelati alla frutta, sorbetti alla frutta, gelati di soia.
    Cibi cotti al forno: pane e focacce (incluse quelle di grano duro, di riso, di segale e di granturco), biscotti, torte (confezionate).
    Cibi vari: molti piatti tipici dei paesi del sud-est asiatico (Cina, Thailandia, Vietnam, Giappone) e molti loro ingredienti, come pastella, fagioli in scatola, miso, salsa teriyaki, e molti prodotti vegetariani.

    I seguenti ingredienti contengono, o possono contenere derivati della soia:
    - pasta di fagioli di soia fermentati (miso)
    - fagioli di soia fermentati
    - proteine vegetali idrogenate
    - proteine della soia idrogenate
    - aromi naturali
    - aroma di soia
    - latte di soia
    - proteine della soia
    - salsa di soia
    - fagioli di soia idrogenati
    - germogli di soia
    - tempeh
    - tofu
    - brodo vegetale
    - gomma vegetale
    - amido

    Diversi studi hanno dimostrato che la lecitina di soia, gli emulsionanti a base di soia e l'olio di soia sono spesso tollerati anche da soggetti allergici.
    Allergologia

    Allergie a muffe, acari ed animali domestici

     Lemuffe

    Sono una delle cause di rinite stagionale, insieme ai pollini. Si tratta di piccole spore che, proprio per le loro ridotte dimensioni, riescono a travalicare le naturali difese dell'organismo, rappresentate dai filtri nasali, e quindi ad entrare fin nei polmoni. In alcuni soggetti allergici, l'allergia alle muffe può essere peggiorata dall'ingestione di determinati alimenti.

    La muffa si trova facilmente negli ambienti umidi: nei giardini, per esempio, nelle stanze da bagno, ma anche nelle piante o nei filtri del condizionatore di casa. Un bollettino delle muffe potrebbe essere utile, un po' come quello che si redige per i pollini.
    Il problema che lo rende inutilizzabile è che le muffe variano troppo velocemente rispetto ai pollini, talvolta addirittura entro le 24 ore. Inoltre i cambiamenti di temperatura e di clima incidono enormemente sulla loro presenza: per esempio, la pioggia porta via la maggior parte delle muffe più grandi, ma mette in circolo quelle più piccole, cioè proprio quelle che più facilmente provocano allergia.

    La polvere e gli acari

    Anche la polvere di casa può rappresentare un nemico per chi soffre di allergia.
    Questa è formata da diverse particelle: fibre, scaglie di pelle umana, pelo animale (se si tiene in casa un cane, un gatto o altri animali), batteri e soprattutto acari. Sono queste microscopiche creature appartenenti al genere dei ragni che provocano le reazioni allergiche. La presenza degli acari della polvere non è comunque indice di sporcizia; se ne trovano anche nelle case più pulite e non è facile, anzi è impossibile, disfarsi completamente di loro. Essi sono presenti soprattutto nei cuscini, nei materassi, nei tappeti, nei pupazzi di peluche e in tutti quegli ambienti in cui fa molto caldo e l'umidità è tra il 70 e l'80%, l'ambiente ideale per la loro riproduzione.

    Capire anche da soli che si è allergici alla polvere di casa è abbastanza semplice, ma la conferma viene sempre da un consulto presso uno specialista allergologo o immunologo.
    I test che lo specialista effettua per scoprire l'allergene che scatena la reazione possono essere cutanei o del sangue. I primi mirano ad evidenziare, tra gli altri, l'allergene che provoca la crisi grazie all'arrossamento del punto in cui l'allergene è stato iniettato. L'esame del sangue mira invece a scoprire se in circolo c'è stato un innalzamento delle IgE, che sono le immunoglobuline che si sviluppano quando si verifica una reazione allergica.

    Chiaramente, la migliore soluzione per combattere l'allergia alla polvere di casa sarebbe evitare il contatto con le particelle che la compongono e, soprattutto, con gli acari. Poiché non si può eliminarli del tutto, la prevenzione, e trattamento allo stesso tempo, si fonda sostanzialmente sulla riduzione della loro presenza in casa. Innanzitutto se i soggetti allergici non possono delegare ad altri le faccende domestiche è bene che utilizzino una mascherina che li protegga dalla polvere durante le pulizie. Inoltre, per limitare al minimo la presenza di acari entro le quattro mura domestiche, è senz'altro d'aiuto utilizzare materiali sintetici non allergici per la stanza da letto (anche per le tende, che assorbono molta polvere), la stanza in cui gli acari si concentrano maggiormente.
    Può anche essere d'aiuto installare un condizionatore ed un deumidificatore che mantengano la temperatura delle stanze sempre costante: né troppo calda, né troppo umida.
    I tappeti sono un altro ricettacolo di acari; se è possibile, è meglio rinunciare ad essi, almeno nella stanza da letto, ed abolire la moquette.
    Un occhio attento anche al mobilio: sempre meglio poltrone e divani in legno e pelle, anziché di tessuto, e librerie chiuse, anziché mensole, poiché i libri ed i soprammobili attirano grandi quantità di polvere.

    Gli animali domestici

    Tenere un animale in casa può essere di grande compagnia per le persone sole e rappresentare un efficace metodo di responsabilizzazione per i bambini.
    In Italia sono moltissime le famiglie che hanno un cane, un gatto, un uccellino in casa e qualcuna anche più di uno o uno di più specie. Purtroppo non sempre avere un animale in casa può essere d'aiuto; anzi, spesso può provocare reazioni allergiche nei conviventi a causa dell'inalazione dei loro peli o del contatto con saliva e urine (quando gli si dà da mangiare o quando si pulisce la lettiera, per esempio).
    L'animale ideale per un soggetto allergico è sicuramente quello con poco pelo; per esempio si potrebbe pensare ad un acquario, anche se poi l'umidità potrebbe comunque provocare muffe. Sebbene si possa credere che l'allontanamento dell'animale per qualche giorno possa essere una prova sufficiente a stabilire se il soggetto è allergico oppure no, questo test fatto in casa ha scarso valore, poiché ci vogliono almeno 20 settimane perché gli allergeni lasciati da un animale domestico scompaiano ed i livelli siano identici a quelli delle famiglie senza animali in casa.

    Il colloquio con il paziente affetto da allergia agli animali domestici è quanto mai complicato; questo soggetto, infatti, proprio per l'affetto e la condizione psicologica che lo lega al proprio animale, non ammetterà mai che è il suo cane o il suo gatto a provocargli la reazione allergica, anche per un problema di eventuale separazione che ne potrebbe scaturire. Quindi la diagnosi di allergia agli animali domestici va posta sostanzialmente facendo affidamento ai test cutanei o agli esami del sangue, sebbene una conferma definitiva possa venire soltanto dalla separazione del soggetto allergico dal suo animale.

    L'unico trattamento veramente efficace ed immediato, come più volte ripetuto, sarebbe quello di allontanare il cane, il gatto, l'uccellino o altro dalla casa in cui vive un soggetto allergico.
    Se questo non è possibile, bisogna almeno tenerlo fuori casa (per esempio in giardino, se ce ne è uno) o al massimo fuori dalla stanza da letto e magari limitare la sua presenza ad una sola stanza. I condizionatori installati in casa, inoltre, devono avere un filtro particolare che riesca a trattenere anche la particelle più piccole, altrimenti si avrà il solo risultato, maggiormente negativo, di diffondere l'allergene in tutte le stanze. Anche gli accessori dell'animale vanno tenuti lontano dal soggetto allergico (è bene ricordare che l'allergene si trova non solo nel pelo, ma anche nella saliva e nelle urine di gatti, cani e uccelli).
    Se le crisi si aggravano sia in quantità che in grado di severità, l'allontanamento dell'animale è obbligatorio se non si vuole rischiare una insufficienza respiratoria.

    Un soggetto allergico che va a far visita a persone che hanno un animale in casa deve essere preparato a questo incontro. Lo specialista saprà consigliargli dei farmaci appropriati da assumere prima della visita (antistaminici, decongestionanti, broncodilatatori).

    Un'altra soluzione è rappresentata dall'immunoterapia. Iniezioni progressive dell'allergene nel paziente, nell'arco di circa tre anni, possono indurre il sistema immunitario a non riconoscere più quella sostanza come estranea e quindi a non scatenare un'eccessiva risposta immunitaria. Il miglioramento dei sintomi può essere avvertito però già dopo circa 6 mesi dall'inizio della terapia. Chiaramente, per il rischio di un eventuale shock anafilattico, la terapia va effettuata sotto stretto controllo di uno specialista immunologo o allergologo.
    Allergia ai pollini


    Ogni anno, nel periodo che va da marzo ad ottobre circa, milioni di italiani soffrono di un'allergia fastidiosa, quella ai pollini. Si tratta di piccole particelle rilasciate nell'aria dalle piante, che giungono, attraverso l'aria inspirata, al naso e alla gola dei tanti allergici, scatenando la rinite allergica.
    Purtroppo, a differenza degli altri allergeni, il polline è tra gli allergeni più difficili da evitare, a meno che non si resti chiusi in casa per gran parte dell'anno.

    COS'E' IL POLLINE
    Il polline è il mezzo con cui le piante si riproducono. Queste particelle vengono rilasciate nell'aria affinché si depositino su altre piante, nel terreno o sulla pianta stessa che li rilascia per avviare il processo di riproduzione.
    I pollini che più facilmente scatenano reazioni allergiche sono quelli appartenenti a piante senza fiori; spesso questi pollini si ritrovano a chilometri e chilometri di distanza dalla pianta che li ha prodotti e per questo, è chiaro, è molto difficile cercare di evitarne il contatto.

    Il bollettino dei pollini

    L'allergia ai pollini ha, ovviamente, un andamento stagionale, poiché ogni pianta ha il suo periodo di produzione.
    Il bollettino dei pollini può aiutare i soggetti allergici, conoscendo l'allergene che scatena le crisi, ad evitare quanto più è possibile l'esposizione all'agente allergico.
    In Italia la stagione di produzione dei pollini comprende nella massima parte i mesi da marzo ad ottobre, con un'alternanza nella presenza dei diversi pollini. 

    Le tabelle che seguono possono essere d'aiuto per tenere sotto controllo l'andamento delle allergie ai pollini.

    Allergie professionali


    La diffusione delle allergopatie professionali origina dall'evoluzione tecnologica produttiva ed il modo di trattarle è una conquista della Medicina del Lavoro degli ultimi trent'anni.
    Su scala mondiale sono circa 280 le sostanze "professionali" capaci di indurre una patologia allergica caratterizzata soprattutto da asma e dermatiti, ma anche da rinite, orticaria ed angioedema.

    Il termine "professionale" significa semplicemente che l'organismo umano incontra la causa scatenante dell'allergia in un ambiente di lavoro con le caratteristiche determinate dal modo di disperdersi di quella sostanza (polveri, vapori, contatti), con la frequenza condizionata dai tempi di lavorazione.

    La sensibilizzazione allergica può essere determinata da polveri vegetali, derivati animali, insetti, composti chimici complessi e composti chimici semplici.

    La patologia da più tempo conosciuta è l'allergia a farine di cereali (la malattia dei panificatori).
    Quella più recente è l'allergia al latice dei manufatti in gomma; quella più curiosa in agricoltura è l'allergia all'aglio.

    La diagnosi di una allergopatia da ambiente da lavoro è complessa, soprattutto per le conoscenze che richiede ed i collegamenti differenziali con la patologia allergica da ambiente di vita.

    La desensibilizzazione specifica mediante immunoterapia specifica (ITS) è attualmente praticabile solo per l'allergia alla farina di frumento.

    Il trattamento dei casi di allergopatia professionale si avvale di interventi farmacologici, sull'ambiente, sul posto di lavoro, sui comportamenti lavorativi, sulla sostituzione di sostanze, sulle protezioni personali e ambientali.

    Non sempre, però, è possibile recuperare il paziente ad un normale equilibrio di salute. Parecchie patologie professionali allergiche sono tutelate dal sistema assicurativo INAIL in quanto generano invalidità.

    Ogni caso diagnosticato deve pertanto costituire punto di partenza di un programma che impegna medico, lavoratore e datore di lavoro in una serie di rapporti non semplici, le cui procedure sono però ora indirizzate secondo il quadro legislativo del DLgs 626/94, come sistema di sviluppo di prevenzione e protezione.

     

    Pediatria

    Introdurre tardi alcuni alimenti può aumentare il rischio di allergie

    La scelta di ritardare l’introduzione di alcuni alimenti solidi nella dieta di un bambino con lo scopo di prevenire le allergie potrebbe rivelarsi controproducente.

    La scoperta è di un gruppo di ricercatori dell’Università di Tampere che hanno analizzato 994 bambini  che avevano partecipato a uno studio sulla prevenzione del diabete.

    I piccoli sono stati seguiti sin dalle prime settimane di vita e sono stati presi in considerazione numerosi fattori, come allattamento al seno e modalità di svezzamento.

    All’età di cinque anni il 17% dei bambini aveva sviluppato delle allergie, il 23% era sensibile ad alcuni allergeni inalati e il 12% era diventato intollerante al latte di mucca, il 9% alle uova, il 5% al grano e l’1% al pesce.

    Bright Nwaru, a capo dello studio, ha illustrato sulle pagine di Pediatrics le conclusioni alle quali sono giunti al termine delle indagini: introdurre tardi alcuni alimenti potenzialmente allergenici potrebbe causare un aumento del rischio di allergie, anche se i genitori non sono allergici.

    Un esempio chiaro, le uova: se introdotte dopo i dieci mesi e mezzo aumentano il rischio che il bimbo ne diventi allergico; ma anche introdurre avena e grano dopo i sei mesi aumenta i rischi, così come inserire il pesce nella dieta dopo gli otto mesi aumenta le probabilità di sviluppare una sensibilità ad allergeni inalati.

    Lo studioso finlandese ha specificato che questi risultati non portano inevitabilmente alla conclusione che le attuali raccomandazioni relative a un allattamento materno esclusivo per i primi sei mesi di vita vadano riviste, ma certamente offrono una interessante e inedita lettura delle possibilità di prevenire lo sviluppo delle allergie.

     

     

     

     

     

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